

Il 12 Febbraio 1951 una sfilata organizzata da Giovanni Battista Giorgini (1898-1971) entusiasma giornalisti e buyer americani: è la nascita della moda italiana.
A Parigi due giovani talenti creativi – Pierre Cardin (1922) e Yves Saint Laurent (1936-2008) – si impadroniscono della scena dell’haute couture.
Nel corso del decennio due giovani talenti creativi si impadronirono della scena dell’haute couture parigina. Pierre Cardin rivoluzionò l’Alta Moda introducendo linee geometriche e nuovi materiali – come il vinile utilizzato per il suo space look – e interpretando in maniera nuova il ruolo dello stilista. Fu il primo a lavorare per i grandi magazzini, a produrre una propria linea di prêt-à-porter, a estendere la politica del licensing all’abbigliamento pronto, suscitando la reazione della Chambre Syndicale de la Couture Parisienne che lo espulse. Nel 1958 Yves Sain Laurent, che aveva iniziato la propria carriera da Dior, esordì presentando la linea trapezio: vestiti a forma di sacco, stretti in alto e svasati verso il basso, lunghi fino al ginocchio. Nel 1954, quindici anni dopo la chiusura, riaprì i battenti la Maison Chanel.
Il 12 febbraio 1951 Giovanni Battista Giorgini organizzò nella propria residenza fiorentina – Villa Torrigiani – una sfilata alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita della moda italiana. Le ragioni dell’importanza di quell’evento sono molteplici. Sulla passerella sfilarono creazioni sartoriali esclusivamente italiane di alcune fra le più importanti case di moda fiorentine, milanesi e romane, che accettarono di presentare i loro modelli in una sfilata collettiva. Inoltre, la manifestazione si svolse immediatamente dopo gli appuntamenti di moda parigini, un espediente pensato per incuriosire i compratori americani e indurli a prolungare il loro viaggio europeo sino a Firenze. Ai rappresentanti dei più importanti department store d’oltreoceano – I. Magnin di San Francisco, Henry Morgan di Montreal, B. Altman, Bergdorf Goodman e Leto Cohn Lo Balbo di New York – doveva essere ben chiaro che a Firenze li attendevano collezioni del tutto nuove, dal momento che alle case di moda italiane era mancato materialmente il tempo necessario per recepire ed elaborare le nuove tendenze lanciate dalle passerelle parigine. Di origini nobili, nel periodo fra le due guerre, Giovanni Battista Giorgini si era dedicato all’attività di rappresentante dei prodotti dell’artigianato toscano – paglie, maioliche, biancheria ricamata per la casa – che aveva commercializzato negli Stati Uniti, acquisendo una conoscenza molto approfondita del mercato e dei gusti americani. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane – dall’alta sartoria ai modelli boutique, dalle creazioni per lo sport a quelle per il tempo libero – aveva tutte le carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato bisogni di consumo che non potevano essere appagati dalle creazioni esclusive ed elitarie proposte dagli atelier parigini. Da un articolo pubblicato dal magazine americano «Time» a commento della sfilata fiorentina, i lettori appresero che i modelli italiani costavano circa la metà di quelli francesi, ai quali non avevano nulla da invidiare. «Cause for worry», concludeva il giornalista: gli italiani stavano incominciando a impensierire seriamente i couturier francesi. A Firenze per l’Alta Moda romana sfilarono Simonetta, Carosa, Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio Schuberth (1904-1972) che, con l’accostamento dei colori e dei materiali delle sue creazioni, diede alla sfilata un contributo di gusto mediterraneo e di profonda conoscenza delle tradizioni sartoriali napoletane. Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna e Noberasco, con le pellicce di Jole Veneziani (1901-1989), e con Germana Marucelli (1905-1983). Quest’ultima, considerata dagli storici della moda l’anticipatrice del New Look di Christian Dior, con l’aiuto di Franco Marinotti (fondatore della Snia Viscosa), era subentrata alla storica casa Ventura aprendo un proprio atelier, divenuto cenacolo di architetti, pittori, scultori, poeti. Per la moda boutique sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, le cui creazioni si caratterizzavano per i colori, i disegni e il taglio classico, e Franco Bertoli (1910-1960) che, al contrario, si distingueva per originalità e fantasia, doti affinate durante gli anni Trenta, quando la scarsità delle materie prime aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio Pucci (1914-1992), che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense attraverso la stampa di moda e i grandi magazzini che commercializzavano i suoi modelli con il marchio Emilio. Vissuto all’insegna della conquista dei mercati internazionali, il decennio si concluse ribadendo la centralità della capitale: a Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della Moda italiana e, sempre a Roma, nel 1959 Valentino (1932) aprì la propria casa di moda.